Archivio mensile:settembre 2014

Il Festival del pastoralismo a Bergamo fa rivivere suoni millenari

(19.09.14) Tra poco più di un mese riparte Terre d’Alpe con il festival del pastoralismo di Bergamo alta. Un po’ di anticipazioni veramente golose (perché vi segnate in agenda un appuntamento imperdibile a Bergamo l’ultimo week end di ottobre)

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Nuovo logo

A Città alta di Bergamo il prossimo appuntamento di Terre d’Alpe: il Festival del pastoralismo. In anticipo alcune interessantissime novità. Da un nuovo modello da campano da pascolo per pecore (della premanese Camp), alle campane con la stessa funzione di 2000 anni fa rinvenute in pascoli della val Seriana. Dalle sonorità dei flauti d’osso a quelle dei tronchi d’abete scavati. Per non parlare del baghèt, del flauto di Pan… dell’antico coltello bergamasco, dei tabarri… del cuz, del castrato cucinato dagli chef di Slow Cooking, dei formaggi Principi delle Orobie. E poi mostre, convegni  e tante dimostrazioni musicali e di abilità artigianali. Tanti appuntamenti imperdibili per gli appassionati di cultura (e sapori) pastorali ma che coinvolgeranno anche tanti grandi e piccini con svariate iniziative

Nell’ambito di una straordinaria collezione di centinaia campani da pascolo di tutte le fogge, materiali e provenienze e di strumenti musicali della tradizione pastorale antichi e moderni (a cura di Giovanni Mocchi, Valter Biella, Piergiorgio Mazzocchi) saranno esposti pezzi straordinari che non sono per la prima volta saranno visibili al pubblico ma che rappresentano anche inedite scoperte.

A Berzo inferiore in Valcamonica la più antica immagine dell’Alphorn svizzero

In un grande affresco nella chiesa di San Lorenzo a Berzo Inferiore, in Valcamonica, è stata individuata la più antica testimonianza iconografica di corno pastorale, il progenitore dell’Alphorn svizzero. Il primato spettava fino ad ora a un dipinto del 1568, a Tiefenbach in Germania, ma da recenti ricerche di Giovanni Mocchi emerge che il lungo strumento sulla spalla di un pastore, all’interno della scena che rappresenta la vita di San Glisente in San Lorenzo, è un corno ligneo con fattura simile a quella dei corni pastorali del nord Europa. La datazione del dipinto viene collocata tra la fine del XIV secolo e l’inizio del XV secolo. Ci troviamo quindi di fronte a un balzo all’indietro di un paio di secoli.  È interessante notare che l’uso dei corni non si è interrotto per più di due millenni. Già nel 37 a.C Marco Terenzio Varrone descrive l’usanza di guidare gli animali con il suono dei corni. Ma in Bergamasca e in Valcamonica la tradizione è tutt’ora viva. Il lugubre urlo dei corni risuona nei riti rurali di fine inverno: a Dossena (BG) nel Ciamà Mars e Scasà Marsa inizio e fine marzo, all’Aprica nel Sunà da Mars, l’ultima notte di febbraio, a Saviore dell’Adamello, la sera del venerdì santo nel Ciamà le püte. Si può concludere che quella del corno alpino è una tradizione che prosegue ininterrotta per due millenni. La suggestione di queste sonorità non potevano mancare agli appuntamenti del Festival del pastoralismo in Città Alta. Tanto pià che il pastoralismo camuno e quello bergamasco sono sempre stati in stretto rapporto (dalla Valcamonica per scendere in pianura si transitava per la Val Cavallina e, molto spesso, per la stessa città di Bergamo). All’epoca dell’affresco della chiesa di Berzo Inferiore la transumanza a lungo raggio che dal Tonale, attraverso la Valcamonica e Bergamo conduceva verso il Cremonese, il Lodigiano, le terre attualmente piemontesi, era già attiva.

A Bergamo alta dal 25 ottobre presso la Sala Viscontea (passaggio Torre di Adalberto) sarà esposta una ricostruzione perfettamente aderente al modello originale e saranno offerti saggi musicali. Nella stessa mostra saranno esposti anche i reperti archelogici descritti di seguito.

Campanacci. Due millenni di storia lombarda

In Val Seriana, in un’area a pascolo a mille metri, appena sotto il Pizzo Frol, in quello che poteva essere un luogo di raccolta del bestiame, sono state recentemente trovati due campanacci del I sec. d.C. Quelle che sembravano campane come se ne trovano a volte sui prati, perse dagli animali, sono state classificate da Giovanni Mocchi come campane in bronzo di epoca romana. Della medesima foggia sono le campane esposte al museo San Lorenzo di Cremona, che provengono dallo scavo a Piazza Marconi di una elegante domus romana, messa a ferro e a fuoco nel 69 d.C. I reperti, consegnati quindi alla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Bergamo, per la prima volta vengono esposti, su concessione della stessa Soprintendenza, alla Mostra di strumenti sonori e musicali pastorali in sala Viscontea a Bergamo Alta. Costituiscono una preziosa testimonianza di uso plurimillenario di questi strumenti di richiamo nella pastorizia bergamasca. Medesimi campani venivano commerciati in epoca romana fino al Mar Baltico. Verranno esposti a fianco del nuovissimo modello di campani per pecore a bocca quadra, ideate e prodotte specificatamente per il festival Terre d’alpe dalla CAMP di Premana, ditta tra le più prestigiose nella lavorazione artigianale e diffusione internazionale dei campani da pascolo italiani.

Il flauto in osso del Castello Regina (val Brembana)

Il flauto in osso è stato ritrovato alcuni anni fa dall’appassionato di cultura montana Antonio Tarenghi, in una escursione di studio in cima al Castello Regina (tra San Giovanni Bianco e Brembilla). Si tratta di un frammento di ridotte dimensioni: un  osso di metatarso di capra,  spezzato e lungo poco più di 6 centimetri. In origine poteva essere lungo non più di otto centimetri. Il flauto ha due fori per le dita, ma sono ben evidenti anche le tracce di un terzo foro, che è collocato nella parte mancante dell’osso.  Lo strumento presenta diverse incisioni e segni di lavorazione, che fanno pensare ad un processo creativo complesso e articolato. La particolarità del flauto è che l’impianto che produce il suono non è quello classico ( tipo  flauto dolce) ma quello più arcaico dello “spigolo a tacca” ricavato in testa allo strumento, che troviamo attualmente ancora nei flauti precolombiani del Sud America ( la “quena”). I flauti costruiti come i modelli che conosciamo oggi, cioè con il becco come il flauto dolce, incominciamo ad apparire in area europea dal 2000 a.C., ma la particolare struttura dell’osso arrivato a noi non ha permesso nessuna congettura valida, in quanto non si può effettuare la prova al carbonio 14, e attualmente non è stato ancora possibile effettuarne una datazione scientificamente valida.

Scarica file MP3 con il suono magico del flauto in osso

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Allevatori, pastori, margari reagiscono ai soprusi dei “Signori dei lupi”

(12.09.14) Le associazioni Adialpi e Alte Terre aderenti a Forum Terre Alte in occasione del Forum Wolf Alp in onda ieri a Torino hanno rilasciato un comunicato stampa in cui smascherano la farsa di una “partecipazione” che per i Signori del lupo significa imporre la loro governance autoritaria e tecnocratica alla popolazione montana, alle categorie dei lavoratori della montagna. Essi confidano sul fatto che la politica da molto peso all’animalismo epidermico di tanti elettori cittadini e nessun peso alle comunità di montagna, disperse e poco numerose. Confidano anche sul fatto che le rappresentanze di categoria del mondo agricolo e allevatoriale non tutelano minimamente gli allevatori di montagna, ai pastori, ai margari. A Torìno gli allevatori avrebbero dovuto fare le comparse. Con una manciata di secondi a disposizione per esprimere il loro dissenso a fronte delle ore di relazioni e della passerella autoreferenziale dei lupologi, degli ambientalisti di regime e dei Parchi

Così hanno preferito esprimersi attraverso un documento qui riportato

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Il programma europeo LIFE WolfAlps: un business senza scrupoli ai danni della comunità alpina!

LʼAssociazione Alte Terre e Adialpi intendono esprimere alcune considerazioni in rappresentanza dei propri associati, in buona parte contadini, pastori e malgari delle valli piemontesi, sul progetto LIFE WolfAlps oggi qui presentato, dopo un anno di “attività”, dal Parco Alpi Marittime, di fronte ad invitati ufficiali che potranno conoscere “da fonti specializzate informazioni oggettive e imparziali” e “soddisfare dubbi e curiosità sul lupo”, ma che non potranno ascoltare lʼaltra voce, ad esempio quella dei pastori che subiscono attacchi dai lupi o di chi sulle Alpi ci vive ogni giorno e soprattutto dʼinverno avverte la minaccia e la pesante limitazione di libertà: testimonianze certamente soggettive e parziali, ma autentiche e vissute direttamente, esperienze che a quelli di LIFE WolfAlps non interessano, perché non compatibili con la loro ideologia conservazionistica e con il quadro idilliaco da cartolina (le curiosità sul lupo) che vanno raccontando da ormai troppo tempo!

1. Il marcio viene dalla testa.

Esiste ed è molto attivo un network in Europa (diretto dal LCIE, Large Carnivore Iniziative for Europe), che coordinando sotto la guida del prof. Luigi Boitani una trentina di ricercatori, selezionati tutti in base alla loro appartenenza al partito ideologico pro-lupo, elabora politiche protezionistiche e in particolare stabilisce le “linee guida” delle Direttive e Convenzioni europee senza lasciar spazio a confronti e discussioni con chi queste politiche deve subire. Un chiaro esempio dellʼEuropa oligarchica delle commissioni e dei burocrati che non prevede attenzione al metodo democratico e alle comunità umane! Che tristezza rendersi conto che in Europa ci siano molti soldi per ripopolare e proteggere lupi orsi e linci sulle Alpi, mentre manchino del tutto per le necessità primarie dei bimbi di montagna, vera specie in estinzione!

2. Per i Parchi il lupo è un business

Sono ormai ventʼanni (dallʼ Interreg II ʼ94-ʼ99, dedicato al lupo) che il Parco delle Alpi Marittime è protagonista e capofila di queste politiche ambientali europee calate dallʼalto, dissennate e antiumane per portarsi a casa dei denari. Certo in tempo di crisi economica, con conseguenti difficoltà di bilancio, ogni Ente deve adoperarsi per finanziare le sue attività, ma riteniamo sia pratica immorale ricercare finanziamenti che sono pubblici per sviluppare attività che provocheranno sicuri danni a unʼintera categoria professionale che da millenni vive in modo sostenibile sulle Alpi. Un dirigente pubblico responsabile non può autogiustificarsi con la solita litania che “lo vuole lʼEuropa”. In effetti, a ben guardare, non interessa veramente il lupo in quanto tale, ma piuttosto i finanziamenti che da due decenni la politica pro Grandi Carnivori riesce ad ottenere. Con la solita miopia non si fa cosa serve al territorio, ma cosa è finanziato da un potere lontano mosso da interessi spesso inconfessabili. Spiace davvero constatare il nuovo e indebito ruolo assunto dai Parchi, i quali approfittando del vuoto di rappresentanza politica della montagna, promuovono o partecipano a progetti che condizionano negativamente la vita dellʼuomo sul Monte, ponendosi in conflitto con la popolazione locale. E spiace ancor più vedere su questo stesso fronte impegnato direttamente e attivamente anche il Corpo Forestale che mette a disposizione (in questo caso ottenendo in cambio alcune Land-Rovers pagate da WolfAlps) caserme e uomini al servizio di unʼideologia ambientalista di matrice anglosassone (stile WWF), estranea alla cultura e alla storia delle Alpi, che potrà provocare solo danni!

3. Lupi e pastorizia

Nelle zone frequentate da branchi di lupi la situazione è diventata insostenibile per chi svolge attività pastorali. Quale imprenditore può accettare di essere attaccato nella sua proprietà in modo imprevedibile e violento senza aver alcun diritto a difendersi e a reagire? Qualunque ladro o assassino che entri nel mio negozio o in casa per depredare e uccidere, magari avrà le sue ragioni e avrà fame, ma io se riesco non cercherò di fermarlo? E per il pastore il suo gregge, la sua ricchezza, non è fatta di cose o di beni rimborsabili, ma di bestie vive che condividono la sua vita, che conosce e ha selezionato da generazioni e che hanno per lo meno lo stesso diritto naturale di vivere dei lupi aggressori. Con quale diritto contro natura si vuole impedirgli di reagire attivamente agli attacchi? Nessun rimborso può ripagare il danno subito, lo stress imposto, il venir meno del senso del proprio lavoro. Solo riconoscendo il ruolo sociale del pastore con i suoi diritti di pascolo e di protezione attiva delle sue bestie potrà diminuire la conflittualità tra uomini del Monte e lupi, non certo con la politica sin qui adottata di compensare in qualche modo i danni con denaro: non alleviamo per nutrire dei predatori!

4. Antropofagia

Lʼantropofagia non è fantasia letteraria, ma una realtà concreta, attestata dovunque nella storia, che solo la follia ideologica vuole ignorare ad ogni costo. Eʼ ben vero che i lupi un tempo tendenzialmente evitavano gli esseri umani per timore atavico, pur se negli archivi storici si trovano testimonianze (anche in Piemonte o in Liguria) che attestano casi di attacchi ripetuti contro persone da parte di uno stesso branco ormai avvezzo allʼantropofagia, con conseguente mobilitazione dellʼintero villaggio minacciato sino allʼeliminazione dei lupi coinvolti. Le rassicurazioni dei sedicenti esperti, cattedratici che mai hanno vissuto la campagna, sono ridicole e si confutano da sole: se “secoli di persecuzione hanno portato la specie a temere lʼuomo e a sfuggirlo in ogni modo”, oggi che non è più perseguibile si arriverà in fretta a una popolazione di lupi priva di timore nei confronti dellʼuomo… e allora lʼaggressione ad un essere umano non sarà più “unʼipotesi molto remota”! Dʼaltra parte, sono numerose le testimonianze di attacchi allʼuomo recenti in India, in Turchia, in Russia ed anche in Nord America (questʼultimi, particolarmente significativi perché avvenuti allʼinterno o nei pressi di Parchi dove era avvenuta la reintroduzione) e purtroppo anche qui da noi nelle valli cuneesi si continuano a moltiplicare le segnalazioni di situazioni critiche di pre-attacco da parte di lupi sullʼuomo. Abbiamo fondato timore che ormai sia solo più questione di tempo…

5. Quale convivenza?

Eʼ impossibile una convivenza pacifica e duratura tra lupi e animali domestici allʼinterno di uno stesso areale: i territori di caccia degli uni non possono coincidere con le zone di pascolamento degli altri. La compresenza genera inevitabilmente conflitti, come lʼesperienza di questi anni mostra in modo inequivocabile. Le misure di prevenzioni proposte, recinzioni elettrificate e cani da difesa, come abbiamo già da tempo denunciato, sono per lo più inefficaci e solo in alcune situazioni utilizzabili. I pastori e la gente del Monte sono consapevoli che le mutate condizioni antropiche e sociali della montagna, così come i cambiamenti della mentalità collettiva giù in pianura, renderanno per lungo tempo (misurabile in decenni) necessaria la convivenza forzata con i lupi. Occorre dunque creare le condizioni giuridiche affinché tale convivenza non si attui a tutto svantaggio della gente e dei pastori di montagna, ai quali bisogna garantire la possibilità di difendersi quando si sentono minacciati nelle persone e nei propri animali. Negare il diritto naturale allʼautodifesa, oltre che espressione di intollerabile arroganza e disprezzo per chi si trova nella condizione di vittima, significa abbandonare a se stessa unʼintera categoria sociale, non riconoscere dignità allʼantico mestiere praticato, non accettare che lʼinevitabile scontro tra pastori e lupi sia giocato ad armi pari! Il lupo è un carnivoro predatore, che evidentemente ha un diritto naturale ad uccidere altri animali per nutrirsi. Sceglierà in base alla sua convenienza, alla disponibilità della preda, alle possibilità di successo, allʼesperienza già acquisita dal branco, indipendentemente dal fatto che siano animali selvatici o domestici. Esiste un diritto, anchʼesso naturale, del pastore alla difesa attiva di fronte a predatori specializzati che si muovono in branco. Ora, da quando sono disponibili armi da fuoco (nelle Alpi a partire dal XVII secolo), lʼuomo ha contrastato la predazione del lupo sparando. Lʼintento deve essere quello di non far scordare alle nuove generazioni di lupi reintrodotti lʼantico fondamentale imprinting: tenersi lontano dagli esseri umani perché possono rappresentare un pericolo per la loro sopravvivenza. Non si tratta di sterminare, ma di far comprendere al lupo nellʼunico modo tecnicamente possibile che il bestiame domestico non è mai una preda conveniente! Sullʼesempio di quanto accade in altre aree geografiche extraeuropee dove si convive tradizionalmente con i lupi ed anche di quanto si sta già sperimentando in alcune zone delle Alpi francesi dove il Prefetto ha concesso di pascolare armati (con primo sparo in aria), sarà anche da noi necessario superare il tabù e concedere ai pastori che lo reputino necessario per la vicinanza di lupi ai propri animali di portare unʼarma durante il pascolamento. Basterà dotarsi di un regolare porto dʼarmi e limitarsi ad agire allʼinterno dei propri terreni di pascolo.

6. La politica è assente!

Chi governa la montagna piemontese? Davvero si vuole lasciare in mano ai funzionari dei Parchi la politica ambientale sulla montagna ? Morte le Comunità Montane, con i sindaci assorbiti da mille problemi e dai diktat finanziari, chi resta a rappresentare nelle sedi istituzionali opportune la voce dei montanari? Qualʼè la posizione dellʼAssessorato alla Montagna che ha pure la delega sui Parchi? Il vuoto lasciato dalle istituzioni elette negli ultimi anni è stato progressivamente riempito da politiche unilaterali, impegnate solo a difendere una “Natura” intesa in modo astratto, ideologico, urbano. Nelle mani di fanatici ambientalisti la protezione assoluta dei Grandi Predatori diventa una nuova forma di colonizzazione della montagna, tesa ad imporre unʼimmagine della natura e dellʼambiente tipicamente cittadina. Si sta preparando un avvenire in cui la gente del monte o si chiude in una riserva, in un parco cintato, o sarà meglio scomparire, emigrare, perché si compia il barbaro progetto di “riinselvatichimento” delle Alpi! Noi montanari non ci stiamo, alziamo la voce, e attendiamo che anche la politica ufficiale prenda posizione! Sulla base di queste considerazioni lʼAssociazione Alte Terre e lʼAssociazione Adialpi, facendosi portavoce della gente delle montagne piemontesi, nulla o scarsamente rappresentata nelle sedi politiche, soprattutto europee, dove si decidono le politiche ambientali, affermano con forza il diritto di poter vivere in tranquillità tra le proprie case e i propri campi, di poter ancora mandare un figlio al pascolo senza timore, di poter lavorare senza che i selvatici devastino regolarmente i pochi ma essenziali frutti del nostro lavoro! Chi vive e lavora ancora la montagna esige che perlomeno si smetta di finanziare coi soldi di tutti questa dissennata politica ambientale di difesa dei Grandi Carnivori sulle Alpi che di fatto significa reintroduzione e diffusione! Bisognerebbe chiedersi quale sia il senso della strategia delle Direttive ambientali europee, chiedersi dove sia il controllo democratico di queste politiche, le cui pesanti conseguenze ricadono puntualmente sulla testa di chi vive in montagna, favorendone ulteriormente lʼabbandono. Non vogliamo che questi soldi siano spesi per la protezione di animali pericolosi per gli esseri umani: le conseguenze di lungo periodo, negative ed irreversibili, per la vita dellʼuomo sulle Alpi sono ben maggiori dellʼindotto positivo di qualche posto di lavoro nei Parchi. Ci piacerebbe far comprendere che la tutela dellʼambiente non passa attraverso la costituzione e il continuo e preoccupante proliferare di aree protette, nelle quali i predatori troverebbero il loro habitat naturale (la cosiddetta famigerata rete di Natura 2000), ma dalla giusta e rispettosa presenza dellʼuomo che con la natura convive e lavora quotidianamente. In alpe questo equilibrio vige da secoli, come sanno bene tutti gli amanti della montagna che nel loro tempo libero salgono quassù per gite e escursioni, mentre non sembra potersi dire altrettanto quando si scende in pianura. Non Parchi, non lupi vogliamo, ma poter vivere e lavorare in armonia con la nostra Terra, dando un futuro ai nostri figli!

Dronero 11-9-2014 Presidente Alte Terre Giorgio Alifredi – Presidente AdiAlpi Giovanni Dalmasso

Campionato mondiale mungitura a mano in val Brembana

(04.09.14) Visto il successo delle gare di mungitura che si svolgevano gli scorsi anni nell’ambito della Fiera di San Matteo a Branzi quest’anno in val Brembana si organizza niente meno che in Campionato mondiale di mungitura a mano
 
di Michele Corti
 
Il 28 settembre a Lenna in val Brembana si svolgerà un evento straordinario: il primo campionato mondiale di mungitura a mano, un evento che Propast saluta con grande entusiasmo vedendo realizzati auspici che da anni formuliamo su queste pagine web. Auspici di rinascita ruralpina. Invitiamo pertanto tutti gli amici  a partecipare gareggiando e facendo il tifo per i loro campioni. Un’occasione per una grande festa di fine alpeggio da tutte le Alpi.
 

La valle orobica ricchissima di tradizioni pastorali e casearie lancia il campionato del mondo di mungitura a mano. Il record ufficiale è stabilito in Piemonte (4,5 litri in 2 minuti) ma a Branzi, in val Brembana c’è una prestazione di 10,7 litri in 3 min. non omologata. 
Ci si aspetta partecipazione dal Piemonte per difendere il record ufficiali. Riportiamo il regolamento della competizione e tutte le info. Saranno disponibili vacche per gli amici che vengono da lontano e per quelli quelli della Svizzera in relazione al problema delle pratiche di esportazione. L’iscrizione si paga sul campo di gara. Prevista l’omologazione nel Guinness dei primati.

 
L’immagine della montagna lombarda schiacciata da una regione dove domina la pianura, senza tradizioni, senza orgoglio sta andando in soffitta. Giovani e meno giovani riescono a volte a trovare la chiave per vincere inerzie, gelosie, invidie, senso di impotenza e rassegnazione e lanciare nuove iniziative. Partendo spesso da spunti che si ricollegano, al passato a una tradizione per decenni rimossa. Partendo da intuizioni apparentemente ‘controcorrente’ come la rivalutazione della mungitura a mano e dei metodi tradizionali di alpicoltura (in cui l’esperienza del Bitto storico, dei “trogloditi d’avanguardia”) ha fatto scuola. Ora la val Brembana, aprendosi alle altre valli bergamasche, lombarde, alpine vuole in qualche modo comunicare all’esterno e far partecipare altri a questo recupero di valori, di vitalità ruralpina. La competizione, dalla Grecia antica e forse anche prima (poi le Olimpiadi moderne sono diventate un business), è un modo per incontrarsi, scambiare idee, trovare unità.
Ben venga l’iniziativa degli amici brembani di cui conosciamo personalmente passione, inventiva, tenacia. E che ammiriamo per non arrendersi alle ‘non risposte’ e a volte ai veri e propri bastoni che una parte dell’ambiente locale insiste ottusamente a mettere loro tra le ruote.
Non sono pochi gli eventi che valorizzano le capacità manuali tradizionali del lavoro di montagna: si tratta di feste che implicano anche un momento sportivo, di competizione, un riconoscumento per chi ha acquisito particolare abilità in un mondo dove è tutto supermeccanizzato.  Così si sono moltiplicate le feste del fieno-gara di falciatura, le gare tra boscaioli, le gare di cani pastore (altrove ci sono gare di tosatura). Poco ci manca da poter organizzare delle Olimpiadi.
 
Per ora in val Brembana è stata organizza la coppa del mondo di mungitura a mano. Non a caso in val Brembana un comprensorio di grandi tradizioni pastorali, di alpeggi, di grandi formaggi: iPrincipi delle Orobie che hanno deciso – caso raro in Lombardia e in Italia – di operare inseieme per la promozione del territorio (comprese vallo orobiche valtellinesi, Valsassina, val Taleggio e valle Imagna) che da loro linfa e sostanza, a partire dalla sua cultura e dalle sue tradizioni
 
La val Brembana è culla dei bergamini che hanno trasfuso nei secoli nella bassa Lombardia in Piemonte in Emilia saperi allevatoriali e caseari tanto che ‘bergamina’ è nel milanese la mandria da latte, nel dialetto modenese e bolognese la vacca stessa, mentre ‘bergamino’ (oltre che il proprietario delle mandrie transumanti che scendevano dalla montagna) è spesso il capo stalla (come a Vercelli dove nelle cascine c’era la casa del bergamino, vicino alla stalla per facilitare l’assistenza ai parti) o – per l’appunto – il mungitore (tutte queste notizie si trovano nel  libro di Michele Corti che uscirà tra pochi giorni  “La civiltà dei bergamini: un’eredità misconosciuta. Una tribù di malghesi lombardi tra la montagna e la pianura tra quattordicesimno e ventesimo secolo, Centro Studi Valle Imagna, Sant’Omobono).
 
 Le iscrizioni sono aperte e invitiamo calorosamente a partecipare. È anche un modo di celebrare insieme (da valli vicine e lontane)  la fine dell’alpeggio che i nostri antenati – prima del declino della civiltà rurale alpina – hanno sempre celebrato con gioia. Era un momento importante dal punto di vista commerciale ma anche occasione lieta per celebrare il raccolto dell’uomo dell’alpe: il formaggio, erba trasformata, che le mani dell’uomo con la mungitura e la caseificazione trasformano nell’oro dell’alpeggio: il formaggio.