di Mariano Allocco
Vivere le Alpi sul versante italiano e su quello estero presenta differenze sostanziali.
Da noi, specialmente in Piemonte, è evidente l’emergere di un conflitto tra Piè e Monte, altrove questo non succede e le vicissitudini TAV in val Susa e la “questione lupo” sono due esempi sui quali riflettere.
Cosa sta capitando qui?
Dalla pianura si pone al centro delle politiche montane l’ambiente, mentre dal monte si chiede che la centralità sia riportata sull’uomo che questo ambiente vive, questione non da poco.
Perché questa differenza di paradigma in Italia? Quale è la differenza tra i due versanti?
Se tracciassimo una sezione perpendicolare alle Alpi, vedremmo che il pendio in pochi chilometri in Italia precipita in pianura, in Francia, in Svizzera e altrove invece non c’è separazione netta tra grande pianura e montagna, le città sono lontane, le Alpi se la prendono comoda e la pianura non c’è.
La spiegazione va cercata proprio lì, nell’asimmetria dei versanti alpini, nella diversa distribuzione delle curve di livello.
Il confine tra Pianura Padana e Alpi è netto e in Piemonte lungo di esso corre una città diffusa che fa da confine tra due mondi che stanno allontanandosi sempre più.
Mentre sulle Alpi si sta affermando un deserto verde, in basso c’è una pianura sempre più antropizzata, con un tasso di inquinamento tra i peggiori in Europa, con aree metropolitane che sono motore di sviluppo industriale e una agricoltura intensiva sempre meno sostenibile.
Una società postmoderna, in crisi strutturale, vede nelle Alpi sempre più verdi un alibi, senza sapere che con ogni probabilità l’anello debole sta in basso.
Sul versante estero invece il declino è graduale, le città sono lontane e non c’è quella frattura geografica, ambientale, storica e sociale che troviamo qui.
Il conflitto che sta emergendo in modo evidente è per buona parte riconducibile a questi fattori, questione da sociologi, economisti, antropologi, a cui do una lettura da montanaro.
Aggiungiamo poi che lo spartiacque alpino che separa gli Stati dal Trattato di Utrecht (1713) non ha mai separato le genti montanare, che vivono allo stesso modo l’immanenza del territorio, la stagionalità, i problemi logistici e tutto quanto riguarda la vita.
Un approccio maturato e vissuto nei secoli che porta le popolazioni alpine a difendere quanto di sacro e di indispensabile è necessario per vivere quassù: libertà e democrazia.
Il rapporto tra questi due mondi andrebbe ricondotto in un contesto che il prof. Fabrizio Barca chiama “conflitto ragionevole”, per arrivare assieme ad un nuovo ed indispensabile “patto di sindacato” tra Monte e Piano.
Ho vissuto i due mondi, li conosco, ho visto la povertà che ha portato alla desertificazione alpina, ma era una povertà da sempre dignitosa, che aveva una via di fuga.
Nella pianura, nelle aree metropolitane la povertà è in un “cul de sac” di disperazione, lì c’è la miseria, miseria che sulle Alpi non c’è mai stata, per questo dico che l’anello debole è in basso.
Cosa si aspetta a unire idee e energie per pensare assieme un avvenire possibile?
Mariano Allocco
22 Febbraio 2017