Non ho mai costruito una mappa dei miei spostamentiper incontri o convegni lungo tutte le Alpi. Certo è che, proprio dell’autonomia autonomia speciale valdostana mai come oggi minacciata, ho pensato più volte quanto sia illuminante la comparazione fra la nostra situazione e quella delle vallate che si trovano nelle Regioni a Statuto ordinario. Per gli scettici di casa nostra andrebbero organizzate delle belle gite in pullman per constatare di persona le differenze e non bisognerebbe andare troppo distante, perché basta e avanza la situazione piemontese.
Ci pensavo ieri risalendo la Val Maira in Provincia di Cuneo, in quella parte occitana che tanto mi è cara per rapporti di amicizia cementati dalla politica, specie quella legge di tutela delle minoranze linguistiche storiche ma anche per le iniziative in favore di una politica per la montagna. La mia destinazione era San Damiano Macra per un convegno sul tema “Le montagne si parlano”, inserito nel ciclo delle conferenze estive del Centro Giolitti (lo statista torinese è nato nella vicina Dronero), organizzato da Mariano Allocco, uno degli ideatori di una nuova associazione “Alte Terre”, che intende riflettere sul futuro delle Alpi.
Io son salito per due ragioni: portare la mia testimonianza sulle prospettive europee della macroregione alpina e per incontrare alcuni dei fondatori dell’associazione per capire come poter condividere certe idee.
Il primo punto è complesso ma facilmente riassumibile, partendo dalla fine. Oggi l’Unione europea ha avviato in due zone del proprio territorio – il mar Baltico e il fiume Danubio – delle strategie macroregionali. Il termine “macroregione” non ha nulla a che fare con la bislacca idea leghista delle tre macroregioni con cui dividere l’Italia, ma si tratta di una modalità per far cadere confini e barriere fra territori storicamente e economicamente omogenei. Una logica europeista condivisibile che sposa il livello regionale con quello europeo, rompendo gli schemi degli Stati nazionali, la cui logica giacobina ha impoverito le nostre vallate, concepite come improduttivo luogo estremo di frontiera. Noi, invece, siamo dei ponti fra culture e facciamo parte di un sistema alpino che va dal sud della Francia alla Slovenia con un’identità comune forte fatta di particolarismi e identità. Sinora ci sono stati due tentativi di aggregazione: la prima risale agli anni Novanta e si tratta della Convenzione Alpina, fallita perché nata per volontà degli Stati e imposta alle popolazioni alpine senza discussioni e pure senza soldi. La seconda e stata una collaborazione “tecnica” nata attorno al fondo strutturale noto come “Spazio Alpino”, che ha avuto il pregio di dare unitarietà alle Alpi di fronte all’Unione europea, una premessa alla strettoia macroregionale su cui lavorano ormai le Regioni alpine, ritrovatesi più volte per far avanzare nei meandri di Bruxelles questo progetto. Faccio notare che una sponda positiva viene dai Trattati europei e da quell’articolo 174 che, finalmente e dopo una lunga battaglia, afferma la particolarità delle zone di montagna in Europa nel quadro della nuova politica definita “coesione territoriale”.
Si tratta di una fiammella di speranza, mentre in Italia la logica dei tagli e delle razionalizzazioni sta colpendo al cuore quel poco di politica della montagna che era stata costruita negli ultimi decenni fra mille difficoltà. E, nello stesso modo, la nascita dell’associazione “Terre Alte” mi conforta per l profondità culturale dell’idea e per i programmi assieme realistici e ambiziosi. Come non evocare i profetici passaggi della Dichiarazione di Chivasso del 1943 sulle popolazioni alpine: senza forme di autogoverno e di sviluppo autocentrato la montagna muore, “svuotata” dalla vicina pianura e dalla crisi irreversibile dei modelli tradizionali. Un processo che potrebbe essere irreversibile se non si lavora tutti assieme e per questo io ci sarò nelle future battaglie comuni.